Il segreto della felicità dei bhutanesi: pensare spesso alla morte

Dagli anni ’70 il Bhutan, uno piccolo Stato dell’Himalaya confinante con Tibet e con l’India con circa 800mila abitanti, considera come principio guida dello sviluppo nazionale la GNH, sigla inglese che sta per felicità interna lorda, quindi in italiano FIL, per la quale si classifica al primo posto in Asia e all’ottavo posto in tutto il mondo. La FIL viene calcolata in base alla qualità dell’aria, alla salute dei cittadini, al loro livello di istruzione e ai rapporti sociali. Non compare, fra i parametri di calcolo, l’aspetto economico (da notare che il Bhutan è uno dei Paesi più poveri dell’Asia).

Linda Leaming è autrice di “A Field Guide to Happiness”, un libro sulla felicità basato sul suo lungo soggiorno in Bhutan. In questo libro ha spiegato che i bhutanesi, come tutti gli esseri umani, conoscono i sentimenti negativi. Ma non fuggono da questi sentimenti e non cercano di censurarli: ritengono che facciano parte della vita. Questa abitudine all’accettazione del fluire degli eventi è probabilmente una delle cause della loro maggiore felicità rispetto ad altre nazioni.

In particolare in Bhutan non è un tabù la morte.

Neanche per i bambini che, al pari degli adulti, sono esposti alla diffusa iconografia e alle danze rituali che richiamano questo tema (quando una persona muore, è previsto per i suoi cari un periodo di 49 giorni di elaborazione del lutto, che viene guidato attraverso precisi rituali).

Foto di kartografia

La relativa serenità con cui i bhutanesi percepiscono la morte potrebbe essere dovuta alla loro profonda fede nella dottrina buddista, specialmente nella reincarnazione, per cui “non si deve aver paura di morire più di quanto si ha paura di abbandonare vecchi abiti”.

Il rischio di morte nei territori di questa nazione si presenta spesso: ad esempio si può morire per assideramento, o a causa di un incidente stradale per via delle strade dissestate e del forte vento, o sbranati da un orso, o per aver mangiato funghi velenosi.

Nel 2015 il giornalista americano Eric Weiner riporò le parole di Karma Ura, direttore del Centre of Bhutan Studies & GNH Research, che aveva detto:

Nella cultura Bhutanese è la norma pensare alla morte 5 volte al giorno. E pensare spesso alla morte è il segreto della loro felicità.

A riguardo è interessante il risultato di uno studio del 2007 pubblicato su Psychological Science che coinvolgeva due gruppi di soggetti e comprendeva varie prove. In una di queste a un gruppo fu detto di pensare a una dolorosa visita dal dentista e all’altro gruppo fu detto di pensare alla propria morte. Poi furono mostrate loro delle sillabe a cui dovevano aggiungere le lettere necessarie a formare parole. I ragazzi che avevano pensato alla morte erano più propensi ad aggiungere lettere che formavano parole che nella loro lingua l’inglese, avevano un significato positivo. Ad esempio, “Joy”.

Come osservò uno dei ricercatori, nonostante la morte sia qualcosa di normalmente spaventoso, quando la contempliamo a quanto pare c’è in noi un sistema automatico che tende a far focalizzare la nostra attenzione su pensieri positivi.

Tenere presente l’esistenza della morte può dare una svolta alle decisioni che prendiamo. Ad esempio l’atteggiamento e il comportamento di chi si aspetta di vivere per poche altre settimane sono diversi da quelli di chi si aspetta di vivere per altri decenni. Certamente un grande errore che molte persone fanno è vivere come se fossero immortali, il che spesso porta a una distribuzione assolutamente insensata delle proprie risorse e delle proprie energie.

Quindi puoi seguire questi due consigli per essere felice:

Accetta i sentimenti negativi come parte della vita

Pensa anche tu alla morte più volte al giorno

…il che potrebbe portare a un’automatico miglioramento della gestione delle tue emozioni e delle tue decisioni.

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